lunedì 1 dicembre 2014

Bonus Renzi "80 euro" in busta paga: come si calcola?



Il cosiddetto bonus Renzi di "80 euro" in busta paga non è di 80 euro mensili come potrebbe far pensare il nome ma è pari a:
- 640 euro annui per chi ha un reddito complessivo annuo (escluso il reddito della prima casa) inferiore a 24.000 euro
- 640*(26.000-RU)/2.000 per chi ha un reddito complessivo annuo (escluso il reddito della prima casa) compreso tra 24.000 e 26.000 euro (indicato con RU nella formula di calcolo)
- zero per chi ha un reddito superiore
- zero per gli incapienti (vedi). La stranezza di questa norma è però che l'incapienza va verificata solo prendendo le detrazioni per lavoro dipendente (vedi) ed escludendo dal calcolo quelle per carichi di famiglia (vedi).

Inoltre per chi ha contratti di lavoro di durata inferiore all'anno, non spetta tutta la cifra annuale ma una cifra più bassa in porporzione ai giorni di calendario di durata del contratto.

In nessun caso quindi il bonus è di 80 euro al mese e per una buona fetta di lavoratori il bonus Renzi non c'è proprio.
Il nome di "bonus degli 80 euro in busta paga" deriva dal fatto che per il 2014 il bonus è stato erogato a partire da maggio quindi in sole 8 buste paga anzichè 12.
(Post modificato il 10/12/2014)

Bonus Renzi "80 euro" in busta paga: a chi spetta?

Il cosiddetto bonus Renzi di "80 euro" in busta paga spetta a tutti i lavoratori dipendenti (anche con contratto precario purchè di lavoro dipendente) ed ai collaboratori a progetto e co.co.co.
La condizione per usufruire del bonus "80 euro" è quella di avere un reddito annuo complessivo inferiore a 26.000 euro (in questo reddito non deve essere incluso quello della prima casa).
Il bonus dei cosiddetti "80 euro" non spetta ai lavoratori a basso reddito, cosiddetti incapienti (vedi) in quanto questi sono già esclusi dal pagamento dell'Irpef.
. La stranezza di questa norma è però che l'incapienza va verificata solo prendendo le detrazioni per lavoro dipendente (vedi) ed escludendo dal calcolo quelle per carichi di famiglia (vedi). Il cosiddetto bonus Renzi di "80 euro"viene riconosciuto automaticamente in busta paga dal datore di lavoro, senza necessità di una richiesta da parte del lavoratore.
Al contrario il lavoratore che non vuole usufruire del bonus dei cosiddetti "80 euro" in busta paga deve comunicarlo per iscritto al proprio datore di lavoro; questo potrebbe succedere ad esempio per i lavoratori che hanno altri redditi oltre a quelli erogati in busta paga che fanno superare il limite massimo per l'applicazione del bonus dei cosiddetti "80 euro".

Calcolo delle detrazioni d’imposta (Irpef) per figli a carico

Per prima cosa occorre conoscere il reddito complessivo del lavoratore nell’anno che comprende tutti i redditi provenienti dai vari rapporti di lavoro avuti durante l’anno più eventuali altri redditi.
A questo reddito complessivo va sottratto il reddito dell’abitazione principale che si può ricavare dalla dichiarazione dei redditi.
A questo punto si ha il reddito utile per il calcolo delle detrazioni d’imposta Irpef per figli a carico che chiameremo RU.
Bisogna ora stabilire la detrazione teorica (DT) spettante. Tale detrazione teorica (DT) è pari a 950 euro per ogni figlio a carico che vanno aumentate di 270 euro se il figlio è minore di 3 anni, di 400 euro se il figlio è disabile (art. 3 L. 104/1992), di 200 euro se ci sono almeno 4 figli a carico del genitore (queste maggiorazioni sono tutte cumulabili tra di loro).
La formula di calcolo della detrazione reale è: DT*(15.000*NF+80.000-RU)/(15.000*NF+80.000) dove NF è il numero dei figli a carico.
A seconda della scelta dei genitori, bisogna poi prendere l’intero importo della detrazione o la sua metà (vedi).
Per chi ha un figlio solo per una parte dell’anno (per nascita o decesso avvenuto nel corso dell’anno), la detrazione d’imposta Irpef non spetta per intero, ma va riproporzionata secondo il periodo per cui si ha avuto il figlio nell’anno (espresso in mesi interi).
Ciò vale anche per la detrazione aggiuntiva per i figli minori di 3 anni, mentre non vale per la detrazione aggiuntiva per le famiglie numerose che viene comunque data per tutto l’anno.
Ricordiamo che se il figlio supera nel corso dell’anno il reddito di 2.840,51 euro, non è più a carico per l’intero anno.
Se il primo figlio è privo di un genitore (per decesso o mancato riconoscimento e l’altro genitore non si è successivamente sposato), si possono applicare le detrazioni d’imposta Irpef per il coniuge invece di quelle per il figlio, se più favorevoli.
Per le famiglie con almeno 4 figli a carico è previsto inoltre il bonus famiglia di 1.200 euro che vengono corrisposti insieme alle detrazioni d’imposta Irpef, pur essendo legati ad una diversa normativa.

(Post aggiornato in seguito alle modifiche della normativa)

Calcolo delle detrazioni d’imposta (Irpef) per redditi di lavoro dipendente e assimilato

Per prima cosa occorre conoscere il reddito complessivo del lavoratore nell’anno che comprende tutti i redditi provenienti dai vari rapporti di lavoro avuti durante l’anno più eventuali altri redditi.
A questo reddito complessivo va sottratto il reddito dell’abitazione principale che si può ricavare dalla dichiarazione dei redditi.
A questo punto si ha il reddito utile per il calcolo delle detrazioni d’imposta Irpef per lavoro dipendente.
Esistono tre formule di calcolo, a seconda del reddito utile del lavoratore (che chiameremo RU):
- se ha un reddito inferiore a 8.000 euro annui, la detrazione d’imposta Irpef fissa è pari a 1.880 euro,
- se ha un reddito compreso tra 8.000 e 28.000 euro annui, la detrazione d’imposta Irpef è pari a
978+902*(28.000-RU)/20.000
- se ha un reddito compreso tra 28.000 e 55.000 euro annui, la detrazione d’imposta Irpef è pari a
978*(55.000-RU)/27.000
A questa cifra va aggiunto il bonus dei cosiddetti "80 euro" in busta paga del decreto "Renzi".
(Clicca qui per vedere a chi spetta il bonus Renzi dei cosiddetti "80 euro")
(Clicca qui per vedere come si calcola il bonus Renzi dei cosiddetti "80 euro")
Non spetta alcuna detrazione d’imposta Irpef per lavoro dipendente a chi ha un reddito superiore a 55.000 euro annui.
Per chi non lavora tutto l’anno, la detrazione d’imposta Irpef non spetta per intero, ma va riproporzionata secondo la durata dei contratti (espressa in giorni di calendario).
Comunque la detrazione effettivamente spettante per i redditi al di sotto degli 8.000 euro annui non può essere inferiore a 690 euro, elevati a 1.380 euro per i lavoratori con contratti a termine.

(Post modificato in seguito all'aggiornamento della normativa)

martedì 5 ottobre 2010

La malattia dei collaboratori e assimilati

I collaboratori a progetto e i collaboratori coordinati e continuativi hanno diritto all’indennità di malattia da parte dell’Inps alle seguenti condizioni:
- non devono essere titolari di pensione,
- non devono essere iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie,
- non devono avere redditi superiori a 64.054,90 euro (anno 2010).
I certificati medici di malattia vanno inviati all’Inps e al committente entro due giorni dall’inizio della malattia.
La domanda per il pagamento delle indennità va presentata direttamente all’Inps.
L’indennità Inps per malattia va da 10,10 a 20,20 euro giornalieri a seconda del numero di mesi in cui ci sono stati versamenti contributivi all’Inps nei 12 mesi precedenti la malattia (minimo 3 mesi, altrimenti l’indennità Inps per malattia non spetta) e viene corrisposta per un massimo di 61 giorni l’anno.
L’indennità Inps per malattia è raddoppiata in caso di ricovero ospedaliero (per un massimo di 180 giorni l’anno).
Il collaboratore è tenuto al rispetto delle fasce orarie di reperibilità per le visite di controllo.

La malattia dei figli

In caso di malattia di un figlio di età inferiore a 8 anni, i genitori lavoratori dipendenti, hanno diritto ad assentarsi dal lavoro, in alternativa tra di loro.
Il diritto è riconosciuto senza limiti per i primi 3 anni di vita del figlio, mentre è limitato a 5 giorni all’anno per ogni genitore dopo tale età.
E’ necessario presentare all’azienda un certificato medico giustificativo dell’assenza che va comunque preavvisata.
Durante l’assenza per malattia del figlio non si ha diritto ad alcuna retribuzione, né da parte dell’azienda, né da parte dell’Inps.
Alcuni genitori quindi preferiscono usufruire di brevi periodi di congedo parentale, invece delle assenze previste per malattia del figlio.
Comunque durante le assenze per malattia del figlio è prevista la copertura contributiva da parte dell’Inps.

L’integrazione all’indennità Inps per malattia da parte del datore

I contratti collettivi prevedono che le aziende diano una retribuzione parziale o totale ai lavoratori durante il periodo di malattia.
Nei casi in cui l’Inps non corrisponde l’indennità, l’azienda provvede direttamente al pagamento sulla busta paga di quanto previsto dal contratto collettivo che si applica in quell’azienda.
Negli altri casi, l’Inps fornisce già una parte di retribuzione al lavoratore e quindi l’azienda deve integrare quanto già dato dall’Inps, secondo quanto previsto dal contratto collettivo.
A volte la retribuzione per malattia appare più bassa di quanto previsto dai contratti collettivi, questo può dipendere dai seguenti fattori:
- la retribuzione per malattia è priva della parte di retribuzione detta “variabile” e connessa all’effettiva prestazione lavorativa (ad esempio straordinari, indennità per lavoro notturno, a turni ecc.);
- l’indennità Inps non è soggetta a trattenute contributive e quindi la retribuzione prevista dal contratto collettivo viene garantita dalla somma di quanto erogato dall’azienda, dall’Inps e dal risparmio contributivo realizzato (questo concetto viene detto “lordizzazione”);
- il contratto collettivo può non prevedere alcuna integrazione per il periodo di carenza nelle malattie di breve durata (solitamente inferiori a 7 giorni).

L’indennità Inps per la malattia: calcolo dell’importo

L’indennità Inps per malattia è pari ad una percentuale della retribuzione media giornaliera del mese precedente all’inizio della malattia.
Più nello specifico la percentuale è la seguente:
- 0% per i primi tre giorni di malattia (è la cosiddetta carenza Inps)
- 50% dal quarto al ventesimo giorno di malattia
- 66,67% oltre il ventesimo giorno di malattia
La percentuale è dell’80% dal quarto giorno in poi per i dipendenti da pubblici esercizi.
L’indennità viene ridotta ai 2/5 in caso di ricovero ospedaliero.
E’ importante tenere presente che la retribuzione media giornaliera considerata dall’Inps comprende anche una quota per le mensilità aggiuntive (tredicesima e quattordicesima) e quindi è più alta della retribuzione normale.
Non tutte le giornate sono utili ai fini del calcolo dell’indennità Inps per malattia ma vanno escluse le seguenti:
- le festività che cadono di domenica per gli impiegati;
- le domeniche e le festività per gli operai.
Tutte le altre giornate sono utili per il calcolo dell’indennità Inps anche se sono giornate non lavorative (ad esempio il sabato per chi lavora dal lunedì al venerdì).
L’Inps indennizza però un massimo di 180 giorni di malattia all’anno.
Il pagamento dell’indennità Inps per malattia è anticipato dall’azienda al lavoratore per conto dell’Inps e quindi figura sulla busta paga del lavoratore.

L’indennità Inps per la malattia: a chi spetta

L’Inps corrisponde un’indennità economica di malattia ad alcune categorie di lavoratori dipendenti, ma non a tutti.
Infatti sono esclusi dall’indennità Inps per malattia le seguenti categorie: dirigenti, impiegati dell'industria, quadri dell’industria e artigianato, portieri, lavoratori domestici (colf, badanti), pubblici dipendenti di aziende non privatizzate.
Per gli operai agricoli ed i lavoratori dello spettacolo l’indennità Inps spetta se hanno maturato un certo numero di giornate di contribuzione l’anno precedente (51 per gli agricoli, 100 per lo spettacolo).

Ferie e malattia

In generale la malattia interrompe le ferie. Il lavoratore deve comunque tornare al lavoro alla data stabilita prima delle ferie (a meno che non sia ancora malato, ovviamente) e non può prolungare di sua iniziativa il periodo di assenza stabilito.
I giorni di ferie non usufruiti a causa della malattia rimangono disponibili per il dipendente in futuro.
Solitamente durante le ferie il lavoratore si trova in un domicilio diverso da quello abituale, quindi deve segnalare all’azienda e all’Inps l’indirizzo esatto a cui si trova per consentire il controllo (visita “fiscale”) e non incorrere nelle sanzioni per assenza alla visita di controllo.
E’ decisamente complicata la situazione di chi si ammala durante le ferie all’estero: infatti i certificati medici vanno tradotti in Italiano (nei paesi al di fuori dall’Unione Europea) e legalizzati secondo le procedure previste dal diritto internazionale (direttamente tramite l’istituzione sanitaria estera per i paesi dell’Unione Europea, oppure secondo la convenzione de L’Aja per gli stati extra Unione Europea che vi aderiscono o con una procedura più complessa per gli altri stati).
La documentazione va poi inviata all’ambasciata Italiana nello stato estero extracomunitario in cui ci si trova.
In difetto di tale procedura la malattia non viene riconosciuta.
E’ possibile, data la complicazione della procedura, non rispettare precisamente i termini per l’invio dei certificati.

La durata dell’assenza per malattia

I contratti collettivi prevedono la durata massima dell’assenza per malattia.
Tale durata è detta periodo di comporto e l’azienda non può licenziare il dipendente durante tale periodo.
Al termine del comporto alcuni contratti collettivi prevedono la concessione di un periodo di aspettativa non retribuita.
Al termine del periodo di comporto o di quello, eventuale, di aspettativa non retribuita, l’azienda può licenziare il lavoratore.