martedì 5 ottobre 2010

La malattia dei collaboratori e assimilati

I collaboratori a progetto e i collaboratori coordinati e continuativi hanno diritto all’indennità di malattia da parte dell’Inps alle seguenti condizioni:
- non devono essere titolari di pensione,
- non devono essere iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie,
- non devono avere redditi superiori a 64.054,90 euro (anno 2010).
I certificati medici di malattia vanno inviati all’Inps e al committente entro due giorni dall’inizio della malattia.
La domanda per il pagamento delle indennità va presentata direttamente all’Inps.
L’indennità Inps per malattia va da 10,10 a 20,20 euro giornalieri a seconda del numero di mesi in cui ci sono stati versamenti contributivi all’Inps nei 12 mesi precedenti la malattia (minimo 3 mesi, altrimenti l’indennità Inps per malattia non spetta) e viene corrisposta per un massimo di 61 giorni l’anno.
L’indennità Inps per malattia è raddoppiata in caso di ricovero ospedaliero (per un massimo di 180 giorni l’anno).
Il collaboratore è tenuto al rispetto delle fasce orarie di reperibilità per le visite di controllo.

La malattia dei figli

In caso di malattia di un figlio di età inferiore a 8 anni, i genitori lavoratori dipendenti, hanno diritto ad assentarsi dal lavoro, in alternativa tra di loro.
Il diritto è riconosciuto senza limiti per i primi 3 anni di vita del figlio, mentre è limitato a 5 giorni all’anno per ogni genitore dopo tale età.
E’ necessario presentare all’azienda un certificato medico giustificativo dell’assenza che va comunque preavvisata.
Durante l’assenza per malattia del figlio non si ha diritto ad alcuna retribuzione, né da parte dell’azienda, né da parte dell’Inps.
Alcuni genitori quindi preferiscono usufruire di brevi periodi di congedo parentale, invece delle assenze previste per malattia del figlio.
Comunque durante le assenze per malattia del figlio è prevista la copertura contributiva da parte dell’Inps.

L’integrazione all’indennità Inps per malattia da parte del datore

I contratti collettivi prevedono che le aziende diano una retribuzione parziale o totale ai lavoratori durante il periodo di malattia.
Nei casi in cui l’Inps non corrisponde l’indennità, l’azienda provvede direttamente al pagamento sulla busta paga di quanto previsto dal contratto collettivo che si applica in quell’azienda.
Negli altri casi, l’Inps fornisce già una parte di retribuzione al lavoratore e quindi l’azienda deve integrare quanto già dato dall’Inps, secondo quanto previsto dal contratto collettivo.
A volte la retribuzione per malattia appare più bassa di quanto previsto dai contratti collettivi, questo può dipendere dai seguenti fattori:
- la retribuzione per malattia è priva della parte di retribuzione detta “variabile” e connessa all’effettiva prestazione lavorativa (ad esempio straordinari, indennità per lavoro notturno, a turni ecc.);
- l’indennità Inps non è soggetta a trattenute contributive e quindi la retribuzione prevista dal contratto collettivo viene garantita dalla somma di quanto erogato dall’azienda, dall’Inps e dal risparmio contributivo realizzato (questo concetto viene detto “lordizzazione”);
- il contratto collettivo può non prevedere alcuna integrazione per il periodo di carenza nelle malattie di breve durata (solitamente inferiori a 7 giorni).

L’indennità Inps per la malattia: calcolo dell’importo

L’indennità Inps per malattia è pari ad una percentuale della retribuzione media giornaliera del mese precedente all’inizio della malattia.
Più nello specifico la percentuale è la seguente:
- 0% per i primi tre giorni di malattia (è la cosiddetta carenza Inps)
- 50% dal quarto al ventesimo giorno di malattia
- 66,67% oltre il ventesimo giorno di malattia
La percentuale è dell’80% dal quarto giorno in poi per i dipendenti da pubblici esercizi.
L’indennità viene ridotta ai 2/5 in caso di ricovero ospedaliero.
E’ importante tenere presente che la retribuzione media giornaliera considerata dall’Inps comprende anche una quota per le mensilità aggiuntive (tredicesima e quattordicesima) e quindi è più alta della retribuzione normale.
Non tutte le giornate sono utili ai fini del calcolo dell’indennità Inps per malattia ma vanno escluse le seguenti:
- le festività che cadono di domenica per gli impiegati;
- le domeniche e le festività per gli operai.
Tutte le altre giornate sono utili per il calcolo dell’indennità Inps anche se sono giornate non lavorative (ad esempio il sabato per chi lavora dal lunedì al venerdì).
L’Inps indennizza però un massimo di 180 giorni di malattia all’anno.
Il pagamento dell’indennità Inps per malattia è anticipato dall’azienda al lavoratore per conto dell’Inps e quindi figura sulla busta paga del lavoratore.

L’indennità Inps per la malattia: a chi spetta

L’Inps corrisponde un’indennità economica di malattia ad alcune categorie di lavoratori dipendenti, ma non a tutti.
Infatti sono esclusi dall’indennità Inps per malattia le seguenti categorie: dirigenti, impiegati dell'industria, quadri dell’industria e artigianato, portieri, lavoratori domestici (colf, badanti), pubblici dipendenti di aziende non privatizzate.
Per gli operai agricoli ed i lavoratori dello spettacolo l’indennità Inps spetta se hanno maturato un certo numero di giornate di contribuzione l’anno precedente (51 per gli agricoli, 100 per lo spettacolo).

Ferie e malattia

In generale la malattia interrompe le ferie. Il lavoratore deve comunque tornare al lavoro alla data stabilita prima delle ferie (a meno che non sia ancora malato, ovviamente) e non può prolungare di sua iniziativa il periodo di assenza stabilito.
I giorni di ferie non usufruiti a causa della malattia rimangono disponibili per il dipendente in futuro.
Solitamente durante le ferie il lavoratore si trova in un domicilio diverso da quello abituale, quindi deve segnalare all’azienda e all’Inps l’indirizzo esatto a cui si trova per consentire il controllo (visita “fiscale”) e non incorrere nelle sanzioni per assenza alla visita di controllo.
E’ decisamente complicata la situazione di chi si ammala durante le ferie all’estero: infatti i certificati medici vanno tradotti in Italiano (nei paesi al di fuori dall’Unione Europea) e legalizzati secondo le procedure previste dal diritto internazionale (direttamente tramite l’istituzione sanitaria estera per i paesi dell’Unione Europea, oppure secondo la convenzione de L’Aja per gli stati extra Unione Europea che vi aderiscono o con una procedura più complessa per gli altri stati).
La documentazione va poi inviata all’ambasciata Italiana nello stato estero extracomunitario in cui ci si trova.
In difetto di tale procedura la malattia non viene riconosciuta.
E’ possibile, data la complicazione della procedura, non rispettare precisamente i termini per l’invio dei certificati.

La durata dell’assenza per malattia

I contratti collettivi prevedono la durata massima dell’assenza per malattia.
Tale durata è detta periodo di comporto e l’azienda non può licenziare il dipendente durante tale periodo.
Al termine del comporto alcuni contratti collettivi prevedono la concessione di un periodo di aspettativa non retribuita.
Al termine del periodo di comporto o di quello, eventuale, di aspettativa non retribuita, l’azienda può licenziare il lavoratore.

L’assenza alla visita di controllo per malattia

Dal punto di vista dell’Inps l’assenza alla visita di controllo comporta la perdita dell’indennità di malattia Inps per i seguenti periodi:
- per un massimo di 10 giorni di calendario, dall'inizio della malattia, per la prima assenza alla visita di controllo;
- per il 50% dell'indennità Inps nel restante periodo di malattia per la seconda assenza alla visita di controllo;
- per il 100% dell'indennità dalla data della terza assenza alla visita di controllo.
Il lavoratore è anche tenuto a presentarsi ad una nuova visita di controllo presso l’Inps.
Più grave l’assenza alla visita di controllo dal punto di vista dell’azienda: infatti si tratta di un’assenza ingiustificata dal lavoro che comporta una possibile sanzione disciplinare che può arrivare fino al licenziamento, oltre ovviamente alla perdita di retribuzione per il periodo di assenza ingiustificata.

Le fasce di reperibilità nella malattia (visite fiscali)

L’azienda e l’Inps possono controllare che il lavoratore sia realmente malato e non stia simulando una malattia inesistente.
Si tratta delle visite di controllo, impropriamente dette visite fiscali (non hanno nulla a che fare con il fisco) in cui un medico si reca al domicilio del dipendente per verificare la malattia.
L’azienda può richiedere la visita di controllo (visita “fiscale”) ma non può inviare un medico di propria fiducia e deve obbligatoriamente rivolgersi all’Inps.
L’inps controlla comunque a campione tutti i lavoratori malati.
Per consentire il controllo il lavoratore è obbligato a rimanere presso il proprio domicilio tutti i giorni (compresi domenica e festivi) durante gli orari delle fasce di reperibilità:
- dalle 10 alle 12
- dalle 17 alle 19
Per i lavoratori pubblici le fasce di reperibilità vanno dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18 (cosiddetto decreto Brunetta).
La reperibilità è esclusa per i lavoratori ricoverati in una struttura ospedaliera.
Non esistono diagnosi che possono esonerare il lavoratore ammalato dal rispetto delle fasce di reperibilità.
L’assenza alla visita di controllo è stata ammessa da alcune sentenze della giurisprudenza nei soli casi di:
- necessità di sottoporsi a visite mediche urgenti o specialistiche che non possono assolutamente essere effettuati in orari diversi da quelli compresi nelle fasce orarie di reperibilità;
- gravi motivi personali o familiari;
- cause di forza maggiore.
In questi casi il lavoratore è comunque e sempre considerato assente alla visita di controllo e deve affrontare un procedimento amministrativo o addirittura un processo civile per dimostrare di aver ragione.
Per i soli lavoratori pubblici (secondo il cosiddetto decreto Brunetta) l’assenza alla visita di controllo è ammessa nei casi di:
- patologie gravi che richiedono terapie salvavita;
- malattie per le quali è stata riconosciuta la causa di servizio;
- stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta.
- visita fiscale già effettuata per il periodo di prognosi indicato nel certificato.
Se il lavoratore cambia domicilio deve comunicarlo per tempo all’azienda e all’Inps in modo da consentire l’effettuazione dei controlli ed evitare le sanzioni per assenza alla visita di controllo.
Il controllo può essere effettuato più volte durante la stessa malattia e anche per più giorni consecutivi.

Il certificato medico di malattia

Il medico compila il certificato Inps di malattia al momento della visita medica, indicando la diagnosi (cioè il tipo di malattia) e la prognosi (cioè la durata prevista della malattia).
E’ importante farsi visitare dal medico il giorno stesso in cui ci si ammala o, al massimo il giorno successivo, altrimenti possono scattare le sanzioni per ritardata certificazione.
Il medico dovrebbe inserire i dati del certificato sul sistema on-line dell’Inps che è in grado di acquisire il certificato di malattia e l’attestazione di malattia (cioè il certificato privo di diagnosi) che viene inviata al datore di lavoro. In tal caso il lavoratore non deve fare nient’altro.
Se questo non avviene, il lavoratore è tenuto ad inviare il certificato di malattia all’Inps (presentandolo presso una sede Inps o con raccomandata) e l’attestazione di malattia all’azienda entro due giorni dalla data del certificato medico.
Fanno eccezione i certificati di ricovero ospedaliero che possono essere trasmessi anche oltre i due giorni.

L’assenza per malattia

I lavoratori dipendenti (anche con contratto precario) devono assentarsi dal lavoro in caso di malattia riconosciuta e certificata da un medico.
La malattia è considerata tale ai fini lavorativi se impedisce il normale svolgimento delle mansioni del lavoratore.
La malattia è riconosciuta tale solo in seguito a certificato medico, non sono ammesse autodiagnosi o autocertificazioni.
Non è possibile rientrare al lavoro prima del termine della prognosi indicata dal medico, a meno di non farsi rilasciare un nuovo certificato medico di avvenuta guarigione.
Il lavoratore è obbligato a comunicare immediatamente l’assenza per malattia all’azienda, anche prima di aver ottenuto il certificato medico, per non incorrere in una sanzione per assenza ingiustificata.
Oltre alle malattie comuni vi sono numerosi altri casi particolari di malattie riconosciute dall’Inps (sempre e comunque in seguito a certificato medico) tra cui segnaliamo: le cure termali (a certe condizioni terapeutiche stabilite dall’Inps), l’emodialisi, le trasfusioni conseguenti al morbo di Cooley, le donazioni di midollo osseo e altre cellule, la chirurgia estetica per scopi terapeutici, le cure per le tossico dipendenze ed alcool dipendenze, l’aborto avvenuto entro 180 giorni dal concepimento (dopo tale termine si considera comunque maternità), la procreazione assistita.

giovedì 22 aprile 2010

Cosa fare con il modello cud

Per alcuni, il modello Cud fotografa esattamente la situazione fiscale dell’anno precedente. Si tratta di quelle persone che non hanno altri redditi oltre a quelli segnalati sul modello Cud e nemmeno oneri deducibili o detraibili.

Per questi non è necessario presentare la dichiarazione dei redditi (modello 730 o Unico), ma unicamente esprimere l’eventuale scelta per la destinazione dell’8 per mille e del 5 per mille sulla scheda allegata al modello Cud (scelta comunque non obbligatoria).

Il Cud e l’eventuale scheda per la destinazione dell’8 per mille e del 5 per mille vanno presentati in azienda (solo se fornisce tale servizio) entro il 30 aprile, oppure presso il Caf o un professionista abilitato entro il 31 maggio.

Questo adempimento esaurisce l’obbligo di dichiarazione dei redditi.

Al contrario, la maggior parte dei lavoratori e pensionati possiede altri redditi o altri oneri deducibili e detraibili oltre a quelli indicati sul modello Cud.

Chi si trova in questa situazione deve compilare la dichiarazione dei redditi (modello 730 o Unico) (vedi) indicando anche tutti i dati fiscali che non sono contenuti nel modello Cud.

Per leggere tutti gli articoli sul modello Cud clicca sul tag Cud qui sotto.

Come si legge il cud

La lettura del modello Cud è complicata perché contiene molte informazioni relative a casi del tutto particolari.

Tuttavia il concetto di base del modello è molto semplice:

- il primo quadro del modello Cud (parte A) è dedicato ai dati anagrafici

- nel secondo quadro del modello Cud (parte B) si riepilogano le trattenute fiscali effettuate al lavoratore o pensionato durante l’anno precedente sulla busta paga o sulla pensione. Le trattenute sono effettuate dal datore di lavoro o ente pensionistico per pagare l’imposta Irpef, sia a livello nazionale sia le addizionali all’imposta Irpef a favore di regione e comune di residenza. Per il calcolo delle trattenute fiscali si tiene conto anche delle detrazioni d'imposta Irpef riconosciute durante l'anno, sia per il tipo di reddito (da lavoro dipendente o da pensione), sia per la presenza di familiari a carico. In questo quadro si possono anche leggere i dati relativi al Tfr accantonato in azienda o destinato alla previdenza complementare

- nel terzo quadro del modello Cud (parte C) i lavoratori possono trovare riassunte le trattenute contributive effettuate durante l’anno per finanziare la pensione Inps o di un altro ente previdenziale (Inpdap o Ipost).

La lettura del modello Cud è complicata dal fatto che le numerose caselle presenti devono tenere conto di tutti i possibili aspetti delle trattenute fiscali e contributive, anche di quelli più particolari.

Per leggere tutti gli articoli sul modello Cud clicca sul tag Cud qui sotto.

Cos’e’ il modello Cud

Il modello Cud è una certificazione che riepiloga le trattenute fiscali (imposta Irpef) ed i contributi previdenziali (Inps, Inpdap o Ipost) pagati durante l’anno precedente dai lavoratori dipendenti ed assimilati (collaboratori, tirocinanti ecc.) e dai pensionati.

Il modello Cud viene consegnato ai dipendenti dal datore di lavoro entro il 31 marzo ed ai pensionati dall’ente previdenziale che eroga la pensione.

In caso di rapporti di lavoro che si interrompono durante l’anno, il lavoratore può richiedere il modello Cud all’ex datore di lavoro il quale ha 12 giorni di tempo per consegnarglielo.

In assenza di richiesta da parte del lavoratore, il datore di lavoro consegnerà il modello Cud alla normale scadenza.

Il modello Cud è importante perché costituisce la base per la compilazione della dichiarazione dei redditi (modello 730 o modello Unico).

Chi riceve il modello Cud deve unirlo al resto della documentazione utile alla predisposizione della dichiarazione dei redditi (modello 730 o modello Unico) e presentarlo insieme a questa al professionista abilitato o al Caf di riferimento.

Per leggere tutti gli articoli sul modello Cud clicca sul tag Cud qui sotto.

mercoledì 20 gennaio 2010

Incapienza delle detrazioni d’imposta (Irpef)

Può capitare che, a causa del basso reddito o del numero elevato di familiari a carico, il lavoratore abbia diritto a detrazioni Irpef più alte dell’Irpef stessa che dovrebbe pagare.
Cioè lo sconto sulle imposte supera le imposte stesse.
In questo caso il lavoratore non deve pagare assolutamente nulla per l’Irpef, ma non riesce a sfruttare completamente le detrazioni Irpef che gli spetterebbero.
Si dice che il lavoratore è incapiente in quanto non può usufruire per intero delle detrazioni non avendo sufficiente capienza nell’imposta da pagare.
Non c’è alcun rimedio a questa situazione, se non quello di considerare la possibilità di una diversa suddivisione delle detrazioni per figli a carico tra i due genitori che però non sempre risolve la situazione.
Due eccezioni a questo principio generale sono costituite dalle detrazioni per figli a carico di genitori separati o divorziati e dal bonus famiglia che viene corrisposto per intero anche agli incapienti (vedi).

Il modello di richiesta delle detrazioni d’imposta (Irpef)

Modificato il 19/7/2011

Le detrazioni d’imposta vanno richieste ogni anno al proprio datore di lavoro ad inizio anno, compilando l’apposito modulo fornito dall’azienda.
In caso di più rapporti di lavoro nel corso dell’anno, va compilato un modulo per ogni rapporto di lavoro, indicando anche il reddito percepito dai precedenti rapporti di lavoro.
Se il lavoratore ha anche altre fonti di reddito, conviene indicare sul modulo anche l’importo presuntivo di questi redditi.
Quando la situazione familiare varia durante l’anno occorre compilare un nuovo modulo per segnalare la variazione.
Se il modulo non viene presentato, il datore di lavoro considera valido quello precedente con il rischio di vedersi calcolare un'imposta diversa da quella dovuta.

Calcolo delle detrazioni d’imposta (Irpef) per coniuge a carico

Per prima cosa occorre conoscere il reddito complessivo del lavoratore nell’anno che comprende tutti i redditi provenienti dai vari rapporti di lavoro avuti durante l’anno più eventuali altri redditi.
A questo reddito complessivo va sottratto il reddito dell’abitazione principale che si può ricavare dalla dichiarazione dei redditi.
A questo punto si ha il reddito utile per il calcolo delle detrazioni d’imposta Irpef per coniuge a carico.
Esistono tre formule di calcolo, a seconda del reddito utile del lavoratore (che chiameremo RU):
- se ha un reddito inferiore a 15.000 euro annui, la detrazione d’imposta Irpef è pari a
800-(110*RU/15.000),
- se ha un reddito compreso tra 15.000 e 40.000 euro annui, la detrazione d’imposta Irpef fissa è pari a 690 euro
- se ha un reddito compreso tra 40.000 e 80.000 euro annui, la detrazione d’imposta Irpef è pari a
690*(80.000-RU)/40.000
Non spetta alcuna detrazione d’imposta Irpef per coniuge a carico a chi ha un reddito superiore a 80.000 euro annui, mentre per i redditi compresi tra 29.000 e 35.200 euro compete una detrazione aggiuntiva di pochi euro.
Per chi è sposato solo per una parte dell’anno (per matrimonio o separazione avvenuta nel corso dell’anno), la detrazione d’imposta Irpef non spetta per intero, ma va riproporzionata secondo il periodo trascorso da coniugi nell’anno (espresso in mesi interi).
Ricordiamo che se il coniuge supera nel corso dell’anno il reddito di 2.840,51 euro, non è più a carico per l’intero anno.

Suddivisione delle detrazioni d’imposta (Irpef) per figli a carico

Le detrazioni d’imposta Irpef per i figli a carico possono essere ripartite tra i due genitori in due soli modi: o metà della detrazione ad ogni genitore (50% a testa) o l’intera detrazione al solo genitore che ha il reddito più elevato (100% a chi ha il reddito più alto).
La scelta dipende, in primis, dall’accordo o meno tra i due genitori ed, in secondo luogo, dalla convenienza fiscale della scelta.
Se i genitori vanno d’accordo tra di loro (indipendentemente dal rapporto legale che c’è tra di loro), la scelta dipende unicamente dal maggiore o minore vantaggio fiscale, le detrazioni infatti diminuiscono al crescere del reddito e occorre effettuare il calcolo di quale delle due soluzioni sia più vantaggiosa.
Se i genitori non vanno d’accordo, la normativa fiscale sceglie per loro:
- se sono sposati o convivono: 50% a testa,
- se sono separati o divorziati ed il figlio è affidato esclusivamente ad un genitore: 100% al genitore affidatario,
- se sono separati o divorziati ed il figlio è affidato ad entrambi i genitori: 50% a testa.
In questi ultimi due casi, se il genitore che ne avrebbe diritto non può usufruirne perché ha un reddito troppo basso, le detrazioni vengono riconosciute per intero all’altro genitore che deve però riversare la quota di detrazione spettante al genitore che ne aveva diritto.

Detrazioni d’imposta (Irpef) e familiari a carico

Le detrazioni d’imposta Irpef vengono riconosciute per tre categorie di familiari: il coniuge, i figli e gli altri familiari indicati dalla normativa fiscale.
E’ importante sottolineare che un familiare è considerato “a carico” solo se non possiede alcun reddito oppure se questo è inferiore a 2.840,51 euro annui.
Al superamento di tale reddito, il familiare non è considerato più “a carico” e quindi vengono a mancare le detrazioni d’imposta Irpef relative a quel familiare.
Analizzando più nel dettaglio:
1) Il coniuge: non deve essere separato, né divorziato (incluso l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio) e non sono ammesse le convivenze senza matrimonio. In altre parole il diritto alla detrazione d’imposta Irpef per il coniuge spetta solo in conseguenza del matrimonio e fino all’eventuale separazione.
2) I figli: si considerano ai fini della detrazione d’imposta Irpef i figli naturali, adottati, affidati o affiliati. Quindi in questo caso non si parla del rapporto che intercorre tra i genitori, ma del semplice fatto che siano loro figli (naturalmente o in seguito ad un provvedimento del giudice).
Per il riconoscimento della detrazione d’imposta Irpef non è necessario che il figlio sia convivente con i genitori e non vi è alcun limite di età del figlio.
La detrazione d’imposta Irpef spetta ad entrambi i genitori che la potranno dividere secondo le regole fiscali (vedi).
3) Gli altri familiari: sono i genitori (e in loro mancanza i nonni), i generi e le nuore, i suoceri, i fratelli e le sorelle.
E’ necessario in questi casi dimostrare la convivenza col parente o di provvedere effettivamente al suo mantenimento (ma non imposto dal giudice). Nella pratica difficilmente si ha diritto a tali detrazioni.

Le detrazioni d’imposta (Irpef)

Le detrazioni d’imposta sono dei veri e propri sconti sulle tasse (in particolare sull’imposta Irpef) che lo Stato riconosce ai cittadini che si trovino in particolari situazioni.
Per quanto riguarda il lavoro, esistono due tipi di detrazioni Irpef:
1) Le detrazioni d’imposta Irpef per i lavoratori dipendenti che vengono riconosciute a tutti i lavoratori dipendenti o assimilati con un reddito annuo inferiore a 55.000 euro. In questa categoria, dal punto di vista fiscale rientrano tutti i contratti di lavoro dipendente, anche quelli precari, i contratti di collaborazione (co.co.co e collaborazione a progetto), i tirocini, stage, borse di studio ecc.
2) Le detrazioni d’imposta Irpef per i familiari a carico che vengono riconosciute a tutti i cittadini che abbiano uno o più familiari considerati “a carico”

mercoledì 13 gennaio 2010

Sciopero e tredicesima mensilità

La tredicesima mensilità non spetta per i periodi di sciopero.
Viene quindi applicata alla tredicesima mensilità una trattenuta proporzionata alle ore di assenza per sciopero.

Maternità e tredicesima mensilità

E’ necessario distinguere tra loro i vari casi di assenza per maternità.
1) Congedo di maternità o paternità (la vecchia astensione obbligatoria): in generale, la tredicesima mensilità non è influenzata dal congedo di maternità.
Quindi il lavoratore dipendente in congedo di maternità o paternità ha diritto all’intero importo della tredicesima mensilità a fine anno.
Il contratto collettivo (in pochi casi) può prevedere un trattamento diverso e, quindi, una trattenuta parziale della tredicesima mensilità.
- Congedo parentale (la vecchia astensione facoltativa): la tredicesima mensilità non spetta per i periodi di congedo parentale.
Vengono quindi trattenuti dalla tredicesima mensilità tanti dodicesimi quanti sono i mesi di assenza.
- Riposi giornalieri (il vecchio allattamento): la tredicesima mensilità non è influenzata dai riposi giornalieri.
Quindi il lavoratore dipendente che usufruisce di riposi giornalieri ha diritto all’intero importo della tredicesima mensilità.
- Malattia del figlio: la tredicesima mensilità non spetta per i periodi di assenza per malattia del figlio.
Viene quindi applicata alla tredicesima mensilità una trattenuta proporzionata ai giorni di assenza.

Infortunio e tredicesima mensilità

In generale, la tredicesima mensilità non è influenzata dall’infortunio.
Quindi il lavoratore dipendente infortunato ha diritto all’intero importo della tredicesima mensilità a fine anno.
Il contratto collettivo (in pochi casi) può prevedere un trattamento diverso e, quindi, una piccola trattenuta, specialmente per i primi tre giorni di infortunio (carenza).

Malattia e tredicesima mensilità

In generale, la tredicesima mensilità non è influenzata dalla malattia.
Quindi il lavoratore dipendente in malattia ha diritto all’intero importo della tredicesima mensilità a fine anno.
Il contratto collettivo (in pochi casi) può prevedere un trattamento diverso e, quindi, una piccola trattenuta, specialmente per i primi tre giorni di malattia (carenza).

Ferie e tredicesima mensilità

La tredicesima mensilità non è influenzata dalle ferie.
Quindi il lavoratore dipendente in ferie ha diritto all’intero importo della tredicesima mensilità a fine anno.

Pagamento della tredicesima mensilità

Per i lavoratori dipendenti che rimangono in azienda fino al 31 dicembre, la tredicesima mensilità viene pagata nel mese di dicembre, entro la scadenza prevista da ogni singolo contratto collettivo.
Per i lavoratori che terminano il contratto di lavoro prima della fine dell’anno, la tredicesima mensilità viene pagata sull’ultima busta paga, insieme alle altre somme che vengono date al termine del rapporto di lavoro (ferie e permessi residui, eventuale quattordicesima mensilità).

Lavoratori precari, neoassunti, licenziati e tredicesima mensilità

I lavoratori dipendenti con rapporti di lavoro precario o atipico hanno comunque diritto alla tredicesima mensilità, secondo le regole descritte più avanti.
I lavoratori con contratto di lavoro non dipendente (collaboratori a progetto o meno, collaboratori occasionali, amministratori, lavoratori autonomi, “partite iva”, associati in partecipazione, voucher, stagisti, tirocinanti e praticanti, lavoratori in nero ecc.) non hanno diritto alla tredicesima mensilità.
I lavoratori dipendenti (precari o meno) assunti o cessati nel corso dell’anno per qualunque motivo hanno diritto a percepire 1/12 di tredicesima mensilità lorda per ogni mese intero lavorato.
Ad esempio un lavoratore assunto il 1° luglio che lavora fino a fine anno ha diritto a 6/12 di tredicesima mensilità, un dodicesimo per ognuno dei 6 mesi lavorati.
E’ più complicato il calcolo dei mesi parzialmente lavorati.
Infatti in questo caso ogni contratto collettivo prevede norme di calcolo diverse per stabilire se il mese lavorato solo in parte dà diritto ad 1/12 di tredicesima mensilità o meno.
Una regola molto diffusa, ma non generale prevede il pagamento di 1/12 di tredicesima mensilità a tutti coloro che siano stati in azienda per almeno 15 giorni nel mese.
Il contratto collettivo può però stabilire una norma diversa da questa.

Calcolo della tredicesima mensilità netta (Inps e Irpef)

Per passare dalla tredicesima lorda a quella netta bisogna togliere i contributi e l’Irpef.
Alla tredicesima mensilità si applicano i contributi Inps come su tutte le altre mensilità, quindi non ci sono norme particolari in questo caso.
Gli altri contributi minori, invece possono essere trattenuti dalla tredicesima mensilità o meno a seconda delle specifiche normative dei vari enti.
Per quanto riguarda l’Irpef, la trattenuta effettuata è basata come sempre sul reddito complessivo del lavoratore nel corso dell’anno.
Tuttavia, mentre sulle mensilità normali tale trattenuta Irepf è ridotta dall’applicazione delle detrazioni d’imposta; sulla tredicesima mensilità non si applicano tali detrazioni e quindi la trattenuta Irpef è decisamente più rilevante.
E’ per questo che solitamente l’importo netto della tredicesima mensilità è più basso di quello di una mensilità normale.
Infine, sulla tredicesima mensilità non vengono trattenute l’addizionale regionale all’Irpef e l’addizionale comunale all’Irpef.

Calcolo della tredicesima mensilità lorda

Per i lavoratori dipendenti in servizio tutto l’anno (da gennaio a dicembre), la tredicesima mensilità è pari a una normale mensilità di retribuzione.
Attenzione però, stiamo parlando dello stipendio contrattuale, cioè quello che viene indicato nella parte alta della busta paga.
Vengono esclusi tutti quegli elementi e indennità che dipendono dal lavoro effettivamente svolto nel mese.
Quindi dal calcolo della tredicesima mensilità vengono escluse tutte le indennità per lavoro notturno, a turni e simili, le indennità di trasferta, di trasporto, di cassa, di mensa, i buoni pasto e simili, lo straordinario di ogni tipo.
Pertanto la retribuzione lorda per la tredicesima mensilità può essere più bassa di quella normale.
Stesse regole nel caso di lavoratori part-time.
E’ diverso invece il caso di lavoratori dipendenti assunti o licenziati nel corso dell’anno, così come il caso di lavoratori che si siano assentati dal lavoro durante l’anno. (vedi)
Il contratto collettivo può ovviamente stabilire norme diverse da quelle generali qui esposte.